venerdì 11 agosto 2017

La dieta mediterranea fa bene... solo ai ricchi

La dieta mediterranea riduce in maniera sostanziale il rischio di infarto e di ictus e i suoi benefici sono stati confermati per l’ennesima volta da uno studio condotto dall'IRCCS Neuromed di
Pozzilli (Isernia) su un campione di 25.000 persone residenti in Molise e reclutate grazie al Progetto Moli-sani.

Ma lo studio, pubblicato su International Journal of Epidemiologyha portato alla luce anche un risultato inaspettato che non era stato quantificato esattamente fino ad oggi e che risulta essere un elemento fortemente discriminante: a beneficiare della dieta sono solo gli individui con un alto reddito e con una buona istruzione. Per tutti gli altri gli effetti dieta mediterranea sarebbero pressoché nulli.

L’indagine dei ricercatori italiani ha messo in luce un vero e proprio problema socio-economico che esclude le fasce di popolazione a basso reddito dalla possibilità di usufruire di un’alimentazione corretta e bilanciata, con tutte le conseguenze a lungo termine che si possono immaginare.

BENEFICI PER POCHI. Giovanni de Gaetano, uno degli autori dello studio, ha spiegato a Focus come si sia arrivati a individuare questa enorme differenza tra fasce di popolazione. «Con il nostro studio abbiamo avuto la conferma che aderire nella maniera ottimale alla dieta mediterranea si associa con una riduzione del rischio cardiovascolare che, in parole povere, vuol dire che si ha minor rischio di avere un infarto cardiaco o un ictus cerebrale» spiega de Gaetano. «Questa riduzione è risultata essere, in media, del 15%. Il dato era già di per sé molto interessante ma abbiamo voluto andare oltre e ci siamo chiesti se questa riduzione si distribuiva in maniera uniforme nella popolazione oppure se c’erano dei gruppi su cui si potevano riscontrare risultati diversi». 

I dati raccolti in precedenti studi avevano già evidenziato che le condizioni socio-economiche hanno influssi sulla salute, indipendentemente dalla dieta.  «Proprio per questo abbiamo voluto analizzare questo aspetto. È stato a quel punto che abbiamo osservato come chi aveva un reddito più elevato e un buon livello di istruzione percepiva vantaggi molto forti dalla dieta mediterranea, nell'ordine del 60% di riduzione del rischio cardiovascolare: molto di più della media di popolazione dell’intero campione dello studio. Non solo. Abbiamo anche riscontrato che chi aveva un reddito medio-basso o una scarsa istruzione non aveva praticamente nessun vantaggio. In conclusione abbiamo notato come ci fossero segmenti di popolazione dove gli effetti della dieta mediterranea sono particolarmente intensi mentre altri dove sono scarsi, per non dire nulli».

PERCHÉ AI POVERI NO? La dieta mediterranea fa bene, quindi, solo a chi può permettersi l’acquisto di certi prodotti di qualità e a “chilometro zero”. In tutti gli altri casi non si può affermare che faccia male ma, di sicuro, che i suoi benefici siano limitati. È la qualità dell’alimento la discriminante fondamentale: un aspetto che i ricercatori dell’IRCCS vogliono approfondire. Lo studio, infatti, non è ancora concluso.

In questo momento è iniziato quello che viene definito il “richiamo della coorte”, un periodo relativamente lungo durante il quale ogni partecipante viene richiamato a colloquio con i medici durante il quale vengono rinnovate le informazioni ottenute nella prima fase e vengono eseguite tutte le verifiche per capire se qualcuno ha cambiato il proprio stile di vita.

«Indubbiamente conoscere il tipo e la qualità dei cibi acquistati avrebbe aiutato a chiarire alcuni meccanismi che in questo momento sono stati solo di natura speculativa» ci ha spiegato Marialaura Bonaccio, del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS, «Infatti nel richiamo della coorte abbiamo in qualche modo inserito delle domande su dove le persone acquistano gli alimenti. In questo modo saremo in grado di fare una discriminazione nell'ambito di un'informazione che prima era solo quantitativa. Se prima chiedevamo quanta frutta e verdura una persone mangiasse ogni giorno adesso saremo in grado di stabilire la provenienza di quel cibo. Questo ci aiuterà a discriminare ulteriormente e ad avvicinare la lente d’ingrandimento su alcune dinamiche che, ora come ora, solo il buon senso ci sta indicando ma che, poiché conduciamo rigorose analisi scientifiche, dobbiamo in qualche modo misurare e mettere in relazione. È proprio la pista che stiamo percorrendo in questo ultimo anno». 

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